Tour de France 2022 – Le pagelle

Le pagelle del Tour de France 2022.

di Dino Manca

Tour de France 2022 – Le pagelle

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Jonas Vingegaard (10) – Il suo Tour de France 2022 era iniziato con gli occhi lucidi nel giorno della presentazione nella sua Danimarca, è terminato con un microfono in mano e la figlia in braccio, con tanto di maglia gialla indosso, sul gradino più alto del podio dei Campi Elisi. Il classe ’96 è paziente nella prima settimana, lascia sfogare Pogacar ed aspetta sornione il momento per fargli male. Quel momento arriva nell’undicesima tappa, quando sfila brutalmente la maglia gialla allo sloveno con un attacco micidiale sul Col du Granon e poi si francobolla alla sua ruota per il resto del Tour, senza dare mai l’idea di essere in difficoltà, nonostante i molteplici tentativi del rivale ferito ed arrabbiato.

La crescita del gioiello danese della Jumbo-Visma è stata costante, dal lontano successo di Koscielisko al Giro di Polonia 2019, fino al sigillo di Hautacam di quattro giorni fa. Il fiore di Hillerslev è sbocciato definitivamente, ora non resta che custodirlo al meglio.

Wout Van Aert (9) – Errore piuttosto grave andare in fuga a Longwy, suicidandosi in una tappa in cui avrebbe potuto non solo vincere, ma anche mantenere la leadership ed evitare di regalare 10 secondi bonus a Pogacar. Per il resto, si rasenta la perfezione: otto podi, tre vittorie di tappa, maglia verde e una “trenata” storica nella salita di Hautacam. Un extraterreste su una bici, sempre un piacere da ammirare!

Tadej Pogacar (8,5) – Lo sloveno ha peccato d’ingordigia? Probabilmente, ma ha corso come nel suo stile: cannibalesco, estremamente offensivo e mai troppo razionale. Il problema è che a volte, specie se in assenza di compagni al proprio fianco, risparmiare qualche energia in più non guasterebbe (vedi Galibier). La sensazione, comunque, è che abbia perso questo Tour perché semplicemente inferiore a Vingegaard, il che è sorprendente a fronte delle passate edizioni, nelle quali raramente aveva trovato avversari in grado di mandarlo in crisi. Dovrà far tesoro della bella lezione impartitagli dal danese.

Geraint Thomas (8) – La regolarità di Mister G ha dato ancora i suoi frutti. A 36 anni, il gallese del Team INEOS raccoglie oggettivamente il massimo che poteva, ovvero un bel podio dietro ai due mostri, che all’anagrafe recitano 25 e 23 anni. Curiosità: dopo la vittoria del 2018, Thomas aveva chiuso sul podio anche nel 2019, stavolta sul secondo gradino – mancava giusto il terzo, che è arrivato quest’anno!

Jasper Philipsen (8) – Semplicemente il velocista più costante del Tour de France 2022. La vittoria a Parigi è la giusta ricompensa per un corridore che negli ultimi due anni è cresciuto esponenzialmente, nonostante un dualismo con Merlier che sembrava potergli togliere le luci della ribalta.

Israel – Premier Tech (7,5) – La rivincita dei veterani! Al cospetto di un Tour all’insegna dei nuovi cavallini rampanti di questo sport, la formazione israeliana riesce a portare a casa due tappe con due over 30: clamoroso il successo di Simon Clarke ad Arenberg, non da meno lo squillo di Hugo Houle a Foix. Meritevole di menzione anche la mini rinascita di Chris Froome, che ha avuto la sua giornata di grazia sull’Alpe d’Huez, trovando un podio quasi insperato. Paradossalmente, complice una caduta, il meno positivo nelle tre settimane è anche il corridore più atteso: Michael Woods.

BikeExchange (7,5) – Bisogna anche tessere le lodi del team australiano, venuto a questo Tour de France 2022 con l’obbiettivo di vincere le volate con Groenewegen e le tappe intermedie con Michael Matthews – obbiettivo raggiunto con entrambi i corridori. In particolare, la vittoria di Matthews, di testa più che di gambe, sulla parete di Mende, è stata una significativa dimostrazione di caparbietà: forse uno dei momenti più sottovalutati di questo Tour, perché nessun corridore ha voluto quella vittoria più di Bling.

David Gaudu (7) – Il migliore dei francesi “di classifica”. Resta l’incostanza, restano i problemi enormi a cronometro, ma il Tour del bretone è senz’altro lodevole. Alla fine il 4° posto è la giusta ricompensa per la sua caparbietà.

Nairo Quintana (6,5) – Chi si rivede! Il Tour del colombiano è una boccata d’aria fresca, sebbene il distacco finale da Vingegaard sia comunque sostanzioso (+16:33″). Lo scalatore di Combita è uno dei più brillanti nelle Alpi (2° sul Col du Granon), dove sfrutta come meglio non si può la sua cara altura, ma crolla nei Pirenei, dove lascia per strada minuti importanti in ottica top5.

Quick-Step (6) – La clamorosa vittoria con tanto di maglia gialla per Lampaert ed il successo del giorno successivo di Fabio Jakobsen facevano pensare ad un altro Tour all’insegna della magia del Wolfpack, invece la magia del team di Lefevere è rimasta in Danimarca. Certo, il forfait di Alaphilippe non ha aiutato, così come non fu ideale la caduta di Asgreen in Svizzera a pochi giorni dal via, ma resta il fatto che da un team di questo calibro ci si aspetti sempre qualcosa in più.

Flop

Bahrain (5) – Il voto sarebbe molto più basso se non fosse per Fred Wright, una delle sorprese più belle di questo Tour de France 2022. Il team arabo perde Jack Haig, la sua pedina più importante, nella tappa del pavé, ma questo non può essere l’alibi per giustificare la pessima forma di Matej Mohoric e Dylan Teuns, ad esempio, mai davvero protagonisti nelle tappe a loro congeniali.

Thibaut Pinot (5) – Ci sono i suoi tifosi a bordo strada, ci sono le sue salite, ci sono le due vittorie stagionali in Tirolo e Svizzera che fanno ben sperare, ma quando arriva il momento di incidere manca la cosa più importante: le gambe.

Rigoberto Uran (4,5) – Il capitano dell’EF interrompe una striscia aperta di tre top10 consecutive con un Tour ben al di sotto delle sue possibilità. Mai protagonista nella lotta per la classifica generale, incapace di incidere andando in fuga anche nel suo terreno preferito: un disastro.

Mathieu Van der Poel (4) – Giro e Tour da protagonisti nella stessa stagione? Mission impossible, anche se ti chiami VDP. Il Tour del fenomeno olandese dura appena 10 tappe, ed è un’agonia senza fine.

BORA – hansgrohe (4) – Un Vlasov ancora segnato dal Covid riesce con fatica a portare a casa la top5 finale, ma è solo una pezza volta a nascondere tre settimane di singhiozzi. Le delusioni maggiori arrivano nel terreno in cui, almeno sulla carta, i tedeschi avrebbero dovuto far manbassa, ovvero la media montagna. Si salva solo Kämna, che sfiora il miracolo a La Planche des belles Filles, mentre Konrad, Schachmann e Grosschartner deludono costantemente. Benino gli sprint di Van Poppel, ma solo nella prima settimana.

Lotto Soudal (3) – Anonimato totale per la squadra belga, sempre più a rischio retrocessione nella classifica a punti WorldTour. Ha fatto discutere, in particolare, la scelta di lasciare ancora a casa Jasper De Buyst, uno dei migliori ultimi uomini in circolazione, che non aveva accompagnato le volate di Caleb Ewan nemmeno al Giro. Strano, visto che giocoforza le maggiori possibilità sarebbero arrivate proprio dai duelli in velocità del Pocket Rocket, peraltro lontanissimo parente del corridore che abbiamo conosciuto negli anni.

Movistar (2) – Altro giro, altra corsa. Ancora una volta, la scelta di mettere tutte le fiches su Enric Mas si è rivelata fallimentare. Lo scalatore maiorchino crolla, per l’ennesima volta, senza nemmeno dare l’illusione di essere in partita. Un bel bagno d’umiltà non guasterebbe per un team che ha fatto scappare Landa, Quintana e Lopez negli ultimi 3 anni, in attesa dell’esplosione definitiva del “cocco” di casa.

Gli italiani (1) – Nel film “l’aereo più pazzo del mondo” c’è una scena molto famosa in cui l’equipaggio cerca (senza successo) di placare i passeggeri a bordo, colpiti da una crisi d’isteria collettiva nel momento in cui vengono a sapere che, le sempre più allarmanti turbolenze a bordo sono accompagnate dalla tragica fine del caffè. In particolare, è diventata celebre la frase del display di bordo, ormai andato in panne, che smentisce la hostess con un secco “ok – panico!”. Ebbene, alla luce di quanto visto in questo Tour, questa frase torna clamorosamente attuale per quanto concerne gli atleti azzurri.

Si, panico, perché non può bastare il “quasi miracolo” di Bettiol a Mende, e nemmeno il podio di Alberto Dainese a Cahors. Serve una grande operazione verità: il ciclismo italiano è in caduta libera e, se non verrà presa sul serio la cosa, accompagnando le dovute riflessioni con i fatti, ci si ritroverà presto senza nemmeno un corridore competitivo, soprattutto in salita. Ganna, Caruso, Cattaneo e Ciccone appannati, Pasqualon sempre al servizio di Kristoff, Bagioli, Felline, Moscon e Velasco invisibili; alla fine il migliore è Luca Mozzato, che porta a casa ben cinque top10 in volata.

La notizia positiva è che cambiare si può, ce l’hanno insegnano i danesi, che nell’anno della partenza a Copenaghen hanno portato a casa maglia gialla e ben quattro vittorie di tappa. La ricetta del loro successo? Programmazione, mentalità vincente, serietà, dedizione, programmazione, programmazione e ancora programmazione.


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